Sappiamo tutti come i videogiochi abbiano da sempre connesso le persone, facendole divertire, scoprendo nuove avventure ed emozioni, o a crearsi nuove amicizie che, seppur a distanza, valgono quanto quelle che si hanno da una vita. Ma, come in ogni ambito, purtroppo, anche il mondo videoludico non è lontano da episodi gravi di molestie e odio.
I casi Ubisoft e Activision Blizzard

Partendo dai vari gruppi delle community sui social fino ad arrivare alle Software House stesse, non ci vuole molto a capire che quello che appare a noi come un mondo inclusivo, che non giudica, che non odia e pensa solo a divertirsi, non sia altro che una facciata per nascondere tutto ciò che realmente accade - e che per molti dovrebbe continuare a rimanere vigliaccamente nascosto.
Tutti noi, se siamo mai approdati per più di dieci minuti in un gruppo gaming, abbiamo visto fin da subito con i nostri occhi come non sia un ambiente molto positivo, di come basta poco per ottenere sfilze di insulti e messaggi d’odio solo per aver espresso un personalissimo parere. Ma cosa succede quando queste esatte cose, se non peggiori, escono fuori da chi crea giochi pieni di messaggi positivi e profondi?
Ed è proprio questo, tra le campagne d’amore, di accettazione del diverso e delle pari opportunità che queste aziende continuano a mandare avanti, anche, e soprattutto, attraverso i loro prodotti, a rendere scioccanti le varie denunce mosse contro alcune delle più grandi, come Ubisoft e Activision Blizzard.
Abbiamo sentito tutti parlare di quello che ha smosso l’azienda famosa soprattutto per Call of Duty, prima dell’acquisizione da parte di Microsoft. Diverse denunce per molestie e discriminazioni di genere erano state mosse contro alcuni dirigenti dell’azienda, che avevano riguardato soprattutto il CEO Bobby Kotick.
Per chi non lo sapesse, verso la fine del 2021, sono state quasi 700 le segnalazioni dei dipendenti che hanno subito molestie o discriminazioni di genere all’interno dell’azienda, secondo il Journal, e la Software House, senza confermare la cifra, ha fatto sapere di aver analizzato e risolto il 90% dei casi già e che si pensava di compilare un rapporto su tutto l’accaduto per rilasciarlo pubblicamente - proprio Bobby Kotick rifiutò poiché “non avrebbe fatto altro che ingigantire il problema più del dovuto”. Proprio su di lui, sono ricadute le accuse più gravi: era a conoscenza da anni di quanto accadesse e non ha mai fatto nulla per evitarlo. Tra il 2006 e il 2007, inoltre, era stato denunciato da due donne per molestie (una delle quali era una sua assistente che era stata molestata anche via messaggi, con tanto di minacce di morte).
L’azienda si è fatta carico di un’indagine indipendente per far finire ogni tipo di problema e rendere il posto di lavoro più positivo possibile, e, stando a quanto emerso dalle prove raccolte, secondo i membri della commissione i dirigenti della compagnia non sarebbero intervenuti per “insabbiare” o minimizzare l’accaduto. "Il consiglio e i suoi consulenti esterni hanno stabilito che non ci sono prove che suggeriscano che i dirigenti senior di Activision Blizzard abbiano mai intenzionalmente ignorato, o tentato di minimizzare, i casi di molestie di genere che sono stati segnalati. Il lavoro svolto non ha portato alla luce alcuna prova, diretta o indiretta, a sostegno della tesi secondo la quale uno o più dirigenti abbiano nascosto informazioni al Consiglio", questo ciò che si può leggere nella documentazione prodotta dalla commissione d’indagine.
Inoltre, sebbene i dipendenti abbiano fatto scioperi e raccolte firme che miravano a togliere dal vertice Bobby Kotick, non solo queste accuse e denunce non hanno intaccato il suo ruolo di Leadership, è stato nuovamente eletto nel Consiglio di Amministrazione di Activision-Blizzard. Però, sebbene gli azionisti abbiano votato a favore dell’attuale CEO, hanno approvato anche la stesura di una relazione che esamini gli sforzi della società nell’affrontare i casi di molestie.

Altro caso simile e di cui si è parlato di meno, è quello delle denunce di molestie nell’azienda francese Ubisoft. Il Solidaires Informatique avrebbe fatto causa al colosso francese, accusando la compagnia e lo stesso Guillemot di tollerare molestie e abusi all’interno degli uffici del publisher. “È più redditizio mantenere i molestatori sul posto piuttosto che proteggere i propri dipendenti”, queste le due parole del sindacato.
Queste denunce prendono di mira anche chi non lavora più all’interno dell’azienda, come l’ex direttore creativo Serge Hascoët e l’ex vicepresidente editoriale Tommy Francois, che si erano licenziati proprio dopo varie accuse di abusi sessuali nel 2020. Anche Cecile Cornet, ex capo del dipartimento delle risorse umane dell’azienda, era stata rimossa dalla sua posizione per aver permesso che quelle molestie fiorissero all’interno dell’azienda.
Sul sito Ubisoft era stato scritto "per quanto riguarda le recenti accuse sollevate contro alcuni membri del team Ubisoft: vogliamo iniziare chiedendo scusa a tutti coloro che ne sono stati colpiti, ci dispiace davvero per ciò che è accaduto. Siamo impegnati a creare un ambiente inclusivo e sicuro per i nostri dipendenti, per i giocatori e per l'intera community, ma è chiaro che in passato non ci siamo riusciti. Dobbiamo fare di meglio". Ma è evidente, che non sia servito a granchè.
La paura di Ubisoft non è solo quella di perdere persone importanti per l’azienda ma anche quella di non riuscire ad attirare e mantenere nuovi talenti, perché, a quanto pare, vale molto di più mantenere lavoratori bravi che un clima di lavoro serio e che non sia un inferno per loro.
Le ultime notizie erano arrivate tramite un report di Kotaku, in cui diversi dipendenti affermavano che, nonostante le promesse del CEO Yves Guillemot di apportare modifiche, queste denunce non vengono sufficientemente affrontate e l’azienda non sta facendo nulla per affrontare i reclami.
L’azienda aveva creato una mail “Respect at Ubisoft” e implementato un software di terze parti per riportare le molestie sessuali in modo anonimo, ma sia i dipendenti che gli ex dipendenti hanno affermato che risulta difficile ottenere risposte. "C'era sempre una variazione di 'Succede la stessa cosa ogni pochi anni, ho riportato un numero X di cose, con testimoni e prove e non è stato fatto nulla o la persona X è stata promossa o spostata'. È triste, e se è un modo intenzionale di seppellire questa roba, allora si può dire che sta funzionando" ha rivelato un dipendente a Kotaku.
E come se non bastasse, ai dipendenti è stato anche vietato di parlare pubblicamente di quello che succede nell’azienda, tramite un’email. "Come sai, le tue esperienze e le informazioni a cui hai accesso mentre lavori in studio sono privilegiate e non possono essere condivise al di fuori dello studio. Ovviamente, questo non impedisce ai giornalisti di provare a contattarti. In tal caso, ti chiediamo di inoltrare la richiesta al nostro responsabile delle relazioni con i media. È la cosa giusta da fare, ma è anche un impegno che hai preso in base al Codice di condotta e al tuo contratto di lavoro".
La Producer di God Of War Ragnarok molestata per la data d’uscita del gioco

Questi avvenimenti riguardano, però, anche le schiere dei videogiocatori. E cosa fare quando si aspetta tantissimo un titolo che non ha ancora una data di uscita? Molti ragazzi, stanchi di aspettare l’annuncio, hanno pensato che mandare la foto dei loro attributi alla Cinematic Producer avrebbe fatto sì che la data d’uscita uscisse fuori. Perché ovviamente è così che funziona, no?
La notizia di questo avvenimento è arrivata a noi proprio dal profilo twitter ufficiale di Estelle Tigani, nel quale scriveva “Suggerimento professionale: mandarmi dick pics chiedendo la data di uscita di God of War Ragnarok, in effetti, non mi farà rivelare la data di uscita. Per le persone che lo stanno facendo, quando mai ha funzionato per voi!?”
Fortunatamente, moltissimi sono stati i videogiocatori dalla sua parte e che hanno trovato sdegno per quanto accaduto. Un ragazzo ha rivelato “Questo tipo di persone, in particolare, non rappresentano il vero fan di God of War. Personalmente mi ferisce che loro debbano infastidire gli sviluppatori così.”
Anche nella casa di sviluppo ci sono stati appoggi, tra i quali spicca quello di Cory Barlog, il director del primo capitolo e produttore del secondo. “Mi state prendendo in giro??? Non riesco a credere di doverlo dire, ma non inviate dick pics a chiunque in questo team, o a chiunque in questa industria. Si stanno facendo il c*lo per fare qualcosa che vi piaccia. Mostrate un po’ di fo**uto rispetto” ha rivelato in un tweet.
Santa Monica ha condiviso una nota ufficiale sul proprio profilo twitter, spiegando che “stiamo lavorando per creare un gioco di cui siamo fieri, uno che speriamo vi piacerà giocare una volta pubblicato. I nostri fan ci ispirano, e capiamo la passione e il desiderio di nuove informazioni. Ma quella passione non dovrebbe essere tossica né arrivare alle spese della dignità di qualunque essere umano. Celebriamo la nostra community trattandoci l’un l’altro, ogni gamer e ogni sviluppatore, con rispetto“. Parole, che sono state appoggiate e condivise anche dal general manager del marketing Xbox, Aaron Greenberg.
Si spera che atteggiamenti del genere non si ripetano in futuro, ma purtroppo, all’infuori del mondo gaming, sono ancora molti i ragazzi che si sentono in diritto di fare questi gesti osceni. Quello che ci rimane da fare è continuare a denunciare questi atteggiamenti sperando che prima o poi si capisca che siano molestie vere e proprie, e la si smetta una volta per tutte.
Ron Gilbert e i messaggi d’odio per la scelta stilistica del nuovo Monkey Island
Immaginate adesso di lavorare da anni a un gioco che non vedete l’ora di mostrare al pubblico, al quale avete dato l’anima e ci avete messo tutta la passione che avevate. Immaginate di vedervi riempire, poi, una volta mostrate le prime immagini e il primo video gameplay, da ondate di odio solo per una questione stilistica del gioco. Lo trovate giusto? Perché non lo è affatto.
Questo è un altro lato tossico del mondo gaming che sta prendendo sempre più piede, soprattutto sui social. Quante volte avete letto commenti negativi e senza senso, neanche costruttivi, solo perché quel titolo non piace personalmente? Più facile dargli contro, e andare contro la massa, piuttosto che lasciarlo perdere e giocare a ciò che piace, giusto?
Notare i problemi del gioco e parlare delle parti tecniche, con critiche oggettive e costruttive, è un conto. Ma con quale diritto, noi giocatori, possiamo criticare le scelte stilistiche dei producer e riempirli di odio, piuttosto che dire semplicemente “questo stile non mi piace”?
È quello che è successo proprio a Ron Gilbert, creatore della serie punta e clicca Monkey Island. Mostrato il primo trailer di gioco nell’ultimo Nintendo Direct Mini, è stato subito riempito da talmente tanti commenti offensivi sul suo blog (Grumpy Gamer), che ha dovuto chiuderli per fermarli. Questo ha portato l’uomo a scrivere, offeso e arrabbiato, che la gioia di poter condividere con i fan quanto fatto fin’ora era stata completamente scacciata via e non avrebbe condiviso più nulla.

“Ritorno a Monkey Island potrebbe non essere lo stile artistico che volevi o ti aspettavi, ma è lo stile artistico che volevo”, ha aggiunto successivamente sul suo blog, anche se si era aspettato che qualcuno avrebbe avuto da ridire per il nuovo stile grafico così lontano da quello originale a pixel.
Ed è questo il punto. È il suo gioco. È la sua idea. Noi non abbiamo nessun diritto di decidere quale stile avrebbe dovuto avere secondo i nostri gusti personali. Non ci vuole molto a capire, dando uno sguardo attento al video, che non solo Gilbert abbia cercato di tenere un’esperienza grafica e artistica nostalgica ma al tempo stesso abbia cercato di renderla innovativa anche per farla conoscere a chi è nuovo del mondo videoludico, come le nuove generazioni. E questo non è necessariamente un male.
Ma se da una parte il mondo videoludico si dovrebbe vergognare di questi gesti e di guardare sempre e solo il lato grafico dei titoli, dall’altra dovrebbe sentirsi orgoglioso di quella fetta di giocatori che ha cercato di seppellire quei brutti messaggi con altrettanti messaggi di amore e curiosità verso quella decisione coraggiosa, affiancati da petizioni per fargli arrivare tutto il loro sostegno.
Questi sono soltanto alcuni dei gesti e vicende che il mondo videoludico ha visto e, purtroppo, subito nel corso degli ultimi anni, ma moltissimi altri fatti avvengono e rimangono nell’ombra. Questo accade nelle community, nelle aziende e negli Esports. Odio, molestie e discriminazioni di genere e orientamento non dovrebbero accadere in nessun ambito, tuttavia purtroppo succede, e il minimo che si possa fare è parlarne nella giusta maniera e condannando i fatti per quello che sono realmente.
E voi cosa ne pensate?
Eravate a conoscenza di questi eventi?
Fatecelo sapere nei commenti e ricordatevi di seguire il blog per rimanere connessi con le nuove notizie!
Buona lettura!
(Realizzato da Giulia Silvestri)
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